Gli effetti del riscaldamento globale sono in atto e comportano già insicurezza, sofferenze e perdite per i cittadini del nostro Paese: la crisi climatica, dunque, non è un rischio futuro che si può accantonare in attesa di aver risolto tutti gli altri problemi, ma deve essere un asse portante delle politiche nazionali. In parallelo, la transizione energetica, basata sulle fonti rinnovabili, il risparmio e l’efficienza energetica, offre il set di soluzioni necessarie per affrontare anche l’emergenza energetica oggi, uscendo dalle logiche che l’hanno determinata. Gli elettori, quindi, tengano conto degli impegni assunti dai singoli candidati e dai partiti su entrambe le questioni, molto intrecciate: questo l’appello di Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia che arriva dopo numerose analisi indipendenti sui programmi elettorali e proposte da parte delle associazioni. La crisi energetica è stata la vera protagonista della campagna elettorale che sta per concludersi. Eppure il dibattito è stato confuso e spesso inquinato da elementi che hanno falsato e strumentalizzato un problema grave e reale, senza indicare soluzioni valide e compatibili con un modello energetico realmente sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico. Il dibattito è ruotato intorno a singole infrastrutture o “ricette” sempre nell’ambito del perpetuarsi dell’uso dei combustibili fossili, alla radice dei problemi che stiamo affrontando, quando non addirittura su presunte soluzioni non ancora disponibili e verificabili (per esempio il nucleare di quarta generazione e la fusione nucleare). Eppure, è talmente chiaro che la vera soluzione è puntare sulle energie rinnovabili che nessun programma ha potuto non nominare: starà agli elettori, però, capire chi davvero vuole puntare, oltre che su efficienza/risparmio energetico, sulle fonti rinnovabili, le più economiche, veloci da istallare e non dipendenti da combustibili importati, quindi garanzia di indipendenza e sicurezza energetica.Oggi usiamo ben al di sotto del 100% i tre rigassificatori esistenti, dal momento che il gas liquido è poco e ha prezzi altissimi. Chi oggi polarizza il dibattito sulle infrastrutture per il gas, quindi, vuole solo creare cambiali per il futuro e continuare con il sistema che ha consentito, prodotto e promosso speculazione e crisi energetica. È necessaria una spinta vera e straordinaria per le rinnovabili, risparmiare gas ed energia, applicare in modo sistematico l’efficienza energetica; se poi si saprà sfruttare appieno le infrastrutture per il gas già esistenti, non ci sarà bisogno di reperirne altre. Invece si parla solo di nuovi rigassificatori. Anche il nucleare a fissione, escluso da ben due referendum popolari, come quello a fusione (che arriverà tra decenni, se mai arriverà) è solo un modo per rinviare l’uscita dal gas e dagli altri combustibili fossili: è saggio investire le risorse che abbiamo in una rapida fuoriuscita dalle fonti fossili, partendo anche dall’eliminazione e rimodulazione di tutti i sussidi ambientalmente dannosi, tema totalmente dimenticato in questa campagna elettorale. Parlare poi di “produzione nazionale” del gas è solo propaganda. La disponibilità estraibile è, anche nella più rosea delle ipotesi, molto limitata: i dati MITE infatti parlano di riserve per circa 120 miliardi di metri cubi (anche considerando le riserve praticamente impossibili da estrarre per ragioni economiche ed energetiche) a fronte di un consumo annuo di quasi 76 miliardi di m3. Quindi se pure si riuscisse a estrarre tutto il gas nazionale – ipotesi che definire ottimista è riduttivo – non solo ci consentirebbe di coprire appena un anno e mezzo dei nostri consumi ma certo non ci aiuterebbe a far fronte all’emergenza. Per ragioni tecniche connesse ai tempi di messa in produzione degli impianti, se mai arriverà, quel gas l’avremo tra anni. Lo stesso per i rigassificatori che di sicuro non serviranno per il prossimo inverno. Inoltre, a meno che non si vogliano nazionalizzare i pozzi in Italia, il gas sarebbe comunque di chi lo estrae e che lo venderebbe ai prezzi di mercato, non certo a prezzo politico: si potranno trovare strumenti per abbattere il costo delle bollette solo trasferendo i costi sul debito pubblico.
Sul clima, occorre verificare chi si impegna davvero ad abbattere in beve tempo le emissioni climalteranti, anche attraverso un nuovo Piano nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC), e ad approvare in tempi brevi una legge sul clima che incardini la questione nelle scelte politiche e crei un dialogo continuo con la comunità scientifica: l’Italia è uno dei pochi Paesi in Europa a non avere una normativa come questa. È indispensabile, inoltre, procedere all’approvazione e all’attuazione di un Piano nazionale di Adattamento al Cambiamento Climatico, strumento necessario per affrontare le conseguenze della crisi climatica già in atto. Così come procedere con l’approvazione dei decreti attuativi della RED II su aree idonee per le fonti rinnovabili, accelerare su norme attuative ARERA e incentivi per le comunità energetiche rinnovabili e potenziare la commissione VIA nazionale e gli uffici delle regioni per velocizzare gli iter autorizzativi degli impianti a fonti rinnovabili.
Insomma, oggi la salvaguardia del clima, la transizione energetica e l’interesse nazionale (non solo europeo) coincidono: Greenpeace, Legambiente e WWF invitano i cittadini a esigere che, prima e dopo le elezioni, questa sia la scelta da compiere.
Parlare poi di “produzione nazionale” del gas è solo propaganda. La disponibilità estraibile è, anche nella più rosea delle ipotesi, molto limitata: i dati MITE infatti parlano di riserve per circa 120 miliardi di metri cubi (anche considerando le riserve praticamente impossibili da estrarre per ragioni economiche ed energetiche) a fronte di un consumo annuo di quasi 76 miliardi di m3. Quindi se pure si riuscisse a estrarre tutto il gas nazionale – ipotesi che definire ottimista è riduttivo – non solo ci consentirebbe di coprire appena un anno e mezzo dei nostri consumi ma certo non ci aiuterebbe a far fronte all’emergenza. Per ragioni tecniche connesse ai tempi di messa in produzione degli impianti, se mai arriverà, quel gas l’avremo tra anni. Lo stesso per i rigassificatori che di sicuro non serviranno per il prossimo inverno. Inoltre, a meno che non si vogliano nazionalizzare i pozzi in Italia, il gas sarebbe comunque di chi lo estrae e che lo venderebbe ai prezzi di mercato, non certo a prezzo politico: si potranno trovare strumenti per abbattere il costo delle bollette solo trasferendo i costi sul debito pubblico.
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