Giuseppe Nicola Summa, detto Ninco Nanco, in dialetto aviglianese Ninghe Nanghe (Avigliano, 12 aprile 1833 – Frusci, 13 marzo 1864), è stato un brigante italiano. Uno dei più devoti luogotenenti di Carmine Crocco, era conosciuto per le sue brillanti doti di guerrigliero, per la sua freddezza e la sua brutalità, attributi che lo resero uno dei briganti più temuti del suo tempo.
Come gran parte dei briganti dell'epoca, la figura di Ninco Nanco è stata rivisitata nella cultura di massa, spesso come generoso fuorilegge, alimentata dal fatto che il regio esercito represse con estrema forza le rivolte meridionali, in molti casi non facendo distinzioni tra briganti e contadini
Figlio di Domenico Summa e Anna Coviello, Ninco Nanco (il cui soprannome apparteneva alla famiglia paterna), nacque in un ambiente familiare disagiato e con diversi problemi con la legge. Suo zio materno, il bandito Giuseppe Nicola Coviello, morì carbonizzato in una capanna di paglia dove si era nascosto per sfuggire alla polizia borbonica (dopo la sua morte, venne ricordato con il nomignolo di Cola Arso). Uno zio paterno, di nome Francescantonio, scontò dieci anni di reclusione per aver picchiato un gendarme borbonico e, uscito di galera, scappò in Puglia dopo aver ucciso a pugnalate un uomo per una questione di gioco, lavorando come garzone alle dipendenze di un possidente di Cerignola ma si diede ben presto alla macchia avendo ucciso il massaro
Suo padre, benché un onesto contadino, aveva problemi di alcolismo, mentre una zia e una delle sue sorelle erano dedite alla prostituzione. Ancora ragazzino, Giuseppe iniziò a lavorare come domestico presso un notabile, Giuseppe Gagliardi, e più tardi come guardiano di vigne. All'età di 18 anni, sposò una ragazza chiamata Caterina Ferrara, orfana di entrambi i genitori, dalla quale non ebbe figli. Il matrimonio durò 2 anni. In età giovanile, fu spesso protagonista di liti furiose, in una delle quali ricevette un colpo di ascia alla testa che non gli fu fatale. Un giorno, venne pestato e pugnalato ad una gamba da alcune persone. Il pestaggio lo costrinse a tre mesi di convalescenza. Giuseppe, anziché denunciare l'accaduto alla polizia, preferì la vendetta personale. Qualche mese dopo, uccise uno dei suoi aggressori a colpi di ascia.

L'omicidio gli costò dieci anni di carcere a Ponza, ma riuscì ad evadere nell'agosto 1860. Recatosi a Napoli, tentò di arruolarsi nell'esercito di Giuseppe Garibaldi per poter ricevere la grazia ma fu scartato. Tentò la stessa cosa sia presentandosi a Salerno da Nicola Mancusi, comandante della colonna insurrezionale di Avigliano, e sia facendo domanda di arruolamento nella Guardia Nazionale ma entrambi gli esiti furono negativi. Costretto al brigantaggio, Ninco Nanco iniziò a vivere di rapine e furti, rifugiandosi nei boschi del monte Vulture.
Eugenio Bennato - Ninco Nanco (DVD Live in Kaulonia Tarantella Festival 2009)

Nel gennaio 1863, Ninco Nanco e alcuni membri della sua banda uccisero brutalmente il delegato Costantino Pulusella, il capitano Luigi Capoduro di Nizza e alcuni suoi soldati, dopo che Capoduro, sperando di indurre il brigante alla resa, si era avviato con i suoi uomini nel bosco di Lagopesole. I loro cadaveri furono scoperti alcuni giorni dopo: Pulusella venne ritrovato con le mani recise, Capoduro decapitato con la testa messa a distanza su un macigno e con un sasso fra i denti, e sul petto aveva incisa la croce di casa Savoia. Il 12 marzo 1863 nei dintorni di Melfi, si rese protagonista di un feroce massacro ai danni di un gruppo di cavalleggeri di Saluzzo, guidato dal capitano Giacomo Bianchi. Alla carneficina parteciparono anche le bande di Crocco, Caruso, Giovanni "Coppa" Fortunato, Caporal Teodoro, Marciano, Sacchetiello e Malacarne. Solamente due soldati piemontesi sopravvissero, mentre il capitano Bianchi venne ucciso da Coppa con una pugnalata alla nuca e la sua testa fu troncata dal busto. La falcidia avvenne in risposta alla morte di alcuni briganti avvenuta nei pressi di Rapolla, i quali vennero catturati, uccisi e i loro cadaveri bruciati dai regi soldati.
Ninco Nanco si rese protagonista anche di atti generosi. Aiutava economicamente le sue sorelle, le quali versavano in condizioni misere ed, essendo profondamente religioso, mandava soldi ai preti affinché celebrassero messe in onore della Madonna del Carmine, la cui effigie portava sempre con sé al collo. Durante l'assedio di Salandra, risparmiò un sacerdote che, in passato, aveva aiutato la sua famiglia e gli garantì la sua protezione. Ninco Nanco depositò alcuni oggetti di valore nella cappella del Monte Carmine, che furono sequestrati e venduti per ordine della commissione antibrigantaggio nel 1863; con il ricavato vennero effettuati lavori di ristrutturazione dell'edificio.
- Assieme a Carmine Crocco, viene menzionato nel brano Quistione Meridionale del Canzoniere Grecanico Salentino, tratto dall'album Come farò a diventare un mito(1983).
- Dopo la sua morte, vennero composte diverse liriche da parte di autori locali che celebrarono la sua condanna, attribuendogli giudizi sprezzanti. Tra questi autori vi furono Francesco Corbo, Angelo Cantore Claps e Stefano Marsico. Le liriche sono raccolte in Quirino Bianchi, Il brigante Ninco Nanco, Napoli, 1903 (pag. 96-99). Anche il poeta Michele De Carlo, a quel tempo sindaco di Avigliano, compose un acrostico sul brigante, sebbene con toni più moderati.
Vita di Ninco Nanco Brigante sanguinario di Avigliano in Basilicata
Le lettere iniziali di ogni verso formano la frase "ECCO NINCO NANCO"
Il 19 novembre 1861 i briganti comandati da Carmine Crocco e da Ninco Nanco tentano per la terza volta di attaccare ed entrare ad Avigliano. Un gruppo prendeva pozione sul monte Calvario attaccando l’antica porta del quartiere Seritiello ed un secondo a cavallo probabilmente comandato da Ninco Nanco attacca nella zona della chiesa di Santa Lucia all’epoca fuori dal centro abitato. I militari sono solo 14 bersaglieri il resto della resistenza erano cittadini aviglianesi, tra essi l’ormai ottuagenario Nicola Corbo ed il sindaco di Avigliano l’avvocato e poeta Michele De Carlo.
Lo stesso Generale Boryes era contrario all’attacco prevedendo enormi difficoltà; dopo oltre 6 ore di combattimento i briganti si ritirarono verso Paoladoce e di là nei boschi di Monte Caruso. Michele De Carlo all’ epoca aveva 59 anni, era nato ad Avigliano nel 1802; ammalatosi di tisi passò parte dell’adolescenza nelle tenute di famiglia a Frusci leggendo molto i classici. La poesia rimase il suo vero amore anche se si laureò in legge a Napoli e di professione fu avvocato e notaio, altra passione la politica. De Carlo viaggiò molto da giovane, a Parigi, Milano e Firenze avendo contatto con artisti e scrittori poi tornò nel paese natio. La poesia restò la passione principale ma solo per diletto anche se alla sua morte avvenuta il 12 maggio 1866 la rivista “Il Fascio Lucano” del 31 maggio 1866 lo definì il Tirteo della Lucania. Le uniche poesie furono stampate a Melfi i e pubblicate postume ed inedite nel 1895 ad opera dell’editore di Melfi Antonio Luccioni La poesia più famosa del De Carlo fu l’acrostico scritto su Ninco Nanco dopo la morte del capo brigante avvenuta il 13 marzo 1864. https://it.wikipedia.org/wiki/Ninco_Nanco
ECCO NINCO NANCO
Ero e non son più, di sangue intriso
Corsi i campi ove sorge il Sacro Monte
Col ferro, il fuoco, lo sterminio e l’onte
O’ l’uman diritto e quel di Dio deriso.
Nessun mi guardi con pietade in viso
Il nome di Cain mi bolle in fronte ;
Non rispettai del mio battesimo il fonte;
Crudel mi son su cento tombe assiso
Or del Carmelo la Patrona e Diva,
Non più soffrendo la mia fausta sorte,
Arcano, ausilio ad AViglian largiva;
Negar non posso che Colei può molto,
Che al di qua di quel Monte ebb’io la morte.
Oltre quel Monte è mio fratelsepolto.
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08/07/2016 - autore: Leonardo Pisani
fonte: TALENTI LUCANI
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TRADUZIONE BY " EMIGRANTI DELLA LUCANIA "
CANTO UNA STORIA ANTICA,
DI SOPRUSI
DI FATICA
DI SPARI E TRADIMENTI,
DI UOMINI DURI
E UOMINI INUTILI,
CHE SI ARRABBIA SOTTO IL SOLE,
CHE FA L'AMORE SOTTO LA LUNA.
DI SOLDATI E
DI CONTADINI
E DI SANGUE E DI FORTUNA,
CANTO LA TERRA MIA
UNA TERRA SENZA VALORE
CHE NON SI SA COME
HA SEMPRE UN INVASORE.
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